E’ la storia di vita, divisa in tre parti, di un maestro elementare, Antonio Mombelli, che vive a Vigevano durante il periodo del boom economico con la moglie Ada e il figlio Rino. La narrazione in prima persona si sofferma sulle quotidiani abitudini del protagonista, che scandisce le sue ore tra l’insegnamento a scuola e le ripetizioni pomeridiane, percependo – nonostante il sacrificio – un misero stipendio che non permette una vita agiata. Un’atona, giornaliera meccanicità che spersonalizza, ma che costituisce il vitale appiglio del decoro piccolo-borghese – dallo scrittore definito con il termine ossessivamente reiterato di “catrame”- scandisce i rintocchi della sua esistenza in un grigiore disperato. Egli si percepisce come un dignitoso e ridicolo personaggio che si affanna aggrappandosi ad un “scoglio” di sicurezza nel “mare-vita” per “prudenza” o per “vigliaccheria”. Un personaggio come tanti che “paga il suo dazio alla vita”. La moglie lo incita a scrollarsi di dosso la paura del nuovo, proponendogli assieme al cognato di aprire un calzaturificio con i soldi della buonuscita. Egli si convince, ma si lascia scappare in paese delle informazioni che vengono registrate da un delatore tributario sul modo in cui i tre riescono ad evadere le tasse e a guadagnare bene. L’ingenuità lo porta a mandare a monte il progetto e ad inimicarsi la famiglia, che lo vede come un inetto. Un’ingenuità che è però desiderio di riscatto, vanità del proprio coraggio di fronte agli ex-colleghi che lo guardano con diffidenza, lo disprezzano o lo ammirano, forse ipocritamente. Ingenuità che è sostanziale fragilità, difesa, corazza contro la durezza della vita.
«L’universo di Mastronardi ha un nome, dichiarato fin dall’inizio dai titoli in copertina: Vigevano. Non so quanti e quali nessi si possono trovare tra questa Vigevano romanzesca e la Vigevano reale: ma so che come immagine dell’Italia, di trent’anni di storia della società italiana, la Vigevano mastronardiana funziona egregiamente. […]
Che un risultato di tanta forza sia stato ottenuto da un’esistenza in fragile equilibrio col mondo come quella di Lucio Mastronardi, dalla sua sensibilità di scorticato vivo, dà a quest’opera un carattere ancor piú raro, perché pagine cosí sapienti nel costruire e nel giudicare le storie umane sono state come strappate dal gorgo di sofferenza che Lucio si portò dentro per tutta la vita».
Italo Calvino