Agota Kristof, La vendetta

Personaggi senza identità, senza nessuna adesione al mondo in cui vivono, con una percezione distorta e allucinata che li induce a compiere gesti aberranti. Delitti poco esemplari, come quello del ragazzo che uccide i professori più amati per salvarli dalla crudeltà dei compagni, o quello della moglie che uccide il marito solo per farlo smettere di russare. I gesti estremi vengono compiuti senza alcuna estetizzazione, solo con estraneità, con la consapevolezza, o forse l’intuizione, che le menzogne non possono essere perdonate, che le soluzioni arrivano e arriveranno sempre tardi.

In questa raccolta di micro-racconti Agota Kristof parla di solitudini, fratture, alienazioni, perdite. In particolar modo la perdita violenta delle proprie origini. Ma il denominatore comune dei racconti è dato anche da un forte sentimento di attesa. Non un’attesa passiva: un’attesa vibrante, consapevole, tutta tesa al ricongiungimento, al ritrovamento del proprio passato, della propria identità. Un’attesa allucinata, anche, come quella dello scultore che aspetta un treno per il nord, pur sapendo che di treni non ne passano più, conscio di essere statua quanto le sue sculture.
Ritratti di personaggi distrutti che tuttavia tentano di conservare la dignità; perdenti che, pur consapevoli del proprio destino, perseverano in una lotta rassegnata, a volte stralunata. C’è chi si aggrappa alla promessa di una voce inaspettata all’altro capo del filo; chi si sposta dall’immobilità del proprio appartamento per rannicchiarsi all’entrata di un grande magazzino, d’inverno, e assiste all’insensato via vai del mondo approfittando delle correnti di aria calda.
Vite alla deriva che cercano ostinatamente di tornare a casa, di rivedere in faccia il proprio passato. Schegge narrative che raccontano un mondo mostruosamente duro, di fronte al quale domina il senso di estraneità e di smarrimento.

Nel 1956 è spettatrice dell’invasione del suo paese da parte dei carri armati sovietici. Fuggita con la famiglia in Svizzera, trova un impiego presso una fabbrica di orologi. Comincia a scrivere nella sua lingua di adozione, il francese, prima testi per il teatro, poi romanzi che la impongono all’attenzione del grande pubblico: Il grande quaderno (1987), La prova (1990), La terza menzogna (1992) – che nella traduzione italiana confluiscono a formare La trilogia della città di K (1998) – in cui le storie parallele di due gemelli, Klaus e Lucas, si dipanano in un labirinto di disperazione morale e bruciante dolcezza, sullo sfondo di una guerra divoratrice.
Anche nelle opere successive (Ieri, 1995; L’analfabeta, 2004; Dove sei Mathias?, 2006) la sua prosa scarna e tagliente scandisce i battiti di un mondo allucinato e crudele, consegnando al lettore una testimonianza impietosa, venata di dolente nostalgia.
Tra gli ultimi libri pubblicati in Italia, la raccolta di racconti La vendetta (Einaudi 2005).

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