La letteratura a Venezia. Si ritorna a votare per il libro del mese

Si è sempre dato per scontato che Venezia è la città ideale per una luna di miele,
ma è un grave errore.
Vivere a Venezia, o semplicemente visitarla, significa innamorarsene
e nel cuore non resta più posto per altro.
Peggy Guggenheim

 

Per la prima discussione dell’anno, vi chiediamo di votare una selezione di libri ambientati a Venezia.
La conversazione si terrà martedì 27 ottobre, ore 21.00, presso Palazzo della Penna (Via Podiani, 11-Perugia).

Fra le calli di Venezia…

Anonimo Veneziano di Giuseppe Berto
Il racconto di una singolare e struggente storia d’amore e di morte, l’ultimo incontro di un uomo – un musicista – cui restano soltanto pochi giorni di vita, con la donna che un tempo lo ha molto amato, che lo ha lasciato, ma forse lo ama ancora… L’uomo e la donna si cercano, si ritrovano, riscoprono la loro giovinezza e il loro amore, le loro radici profonde, anche dietro parole che feriscono. Questo ultimo incontro darà all’uomo il coraggio di morire, nel lugubre splendore di una Venezia che lentamente sprofonda. Una storia d’amore che ispirò un film con Florinda Bolkan e Toni Musante.

Di là dal fiume e tra gli alberi di Ernest Hemingway
Scritto nel 1950, Di là dal fiume e tra gli alberi narra le vicende di un cinquantenne colonnello americano reduce dalla Seconda guerra mondiale, follemente innamorato di una ventenne nobildonna europea. Con i suoi pazzeschi e disperati modi di dire, di fare, di bere, di distruggersi con dolcezza, l’ufficiale diventa l’ennesima maschera dello scrittore che, giunto alla maturità, inizia a sentire tutto il peso della propria vita. Fa da affascinante sfondo al racconto un ambiente in gran parte veneziano, dall’Hotel Gritti all’Harry’s Bar, dalla laguna ai palazzi della buona società, ma anche la campagna di Fossalta in cui il protagonista – come l’autore giovane, come il tenente Henry di Addio alle armi – trent’anni prima è stato ferito e per la prima volta ha scoperto la caducità umana.

L’isola dei morti di Valerio Massimo Manfredi
Il racconto prende ispirazione dal rinvenimento del relitto di una nave risalente al XIV secolo presso San Marco in Boccalama, un’isola della laguna veneta oggi sommersa, usata come luogo di sepoltura (o forse come semplice discarica) dei morti di peste del 1348. Tra quelle migliaia di scheletri consumati dal tempo ce n’è uno che nasconde un enigma di straordinaria importanza. Manfredi usa i dati archeologici per dare vita a una storia di intrigo e mistero, dove si dà la caccia a un favoloso tesoro scomparso; un tesoro prezioso, un patrimonio dell’anima lasciato in eredità all’umanità intera da una mente superiore. E così le calli di Venezia e i fondali limacciosi della laguna si trasformano nel teatro in cui si muovono improvvisati ma determinati investigatori che, abituati a indagare negli scavi archeologici i segreti del passato più remoto, si trovano a fare i conti con nemici pericolosi, potenti e tremendamente attuali.

Morte a Venezia di Thomas Mann
Gustav von Aschenbach cinquantenne scrittore di Mo­naco, raggiunte ormai fama e rispettabilità, sente im­provvisamente una strana inquietudine e il desiderio di viaggiare. Parte per Venezia dove alloggia all’Hotel des Bains al Lido, frequentato dall’alta società internazio­nale. Qui incontra un bellissimo adolescente polacco dai capelli biondi e dagli occhi grigio-crepuscolo verso il quale prova un’irresistibile e morbosa passione. Tra Aschenbach e il giovane Tadzio nasce un rapporto fat­to di sguardi e gesti, mai di parole, alimentato nell’ani­mo dello scrittore da reminiscenze classiche. Segue Tad­zio per le calli e i canali veneziani, cerca di apparire più giovane tìngendo i capelli e utilizzando cosmetici. In­tanto a Venezia, in un’atmosfera disfatta e decadente, si manifestano i primi casi di colera, che le autorità tenta­no di nascondere. Aschenbach se ne accorge, ma non av­verte la famiglia polacca nel timore che Tadzio parta. Il giorno in cui la famiglia lascia Venezia, Aschenbach, malato, muore sulla spiaggia con negli occhi l’ultima immagine di Tadzio che gli appare come Ermete psicago-go (colui che guida l’animo nel regno dei morti).

Cortesie per gli ospiti di Ian McEwan
Nella torrida atmosfera di una città sul mare oppressa dalla calura estiva, Mary e Colin, due turisti inglesi legati da un rapporto in cui «il piacere stava soprattutto nell’amichevole mancanza di fretta, nella familiarità dei rituali e delle procedure», si imbattono in un inquietante anfitrione. Robert, questo il suo nome, racconta ai nuovi amici, sul filo di un irrefrenabile crescendo, un passato di sottili crudeltà domestiche e di sottomissione a un padre estremamente autoritario. Prigioniera, più che padrona della casa in cui agli ospiti si vanno preparando particolari cortesie, Caroline, moglie di Robert, «dava l’impressione di avere un piacevolissimo segreto». Ma è l’intero romanzo a celare un segreto, e McEwan, come in un thriller, lascia affiorare di volta in volta un nuovo, significativo indizio, preparando un finale apocalittico e liberatorio.

La partita di Alberto Ongaro
Francesco Sacredo, giovane nobiluomo veneziano, torna nella sua città dall’esilio a Corfù, cui è stato costretto dall’Inquisizione. La laguna, trasformata dal gelo in una trappola di ghiaccio, lo accoglie lugubre come la sorte che lo attende. Durante la sua assenza il vecchio padre ha infatti perso al gioco i suoi molti averi, vinti da una nobile tedesca, la contessa Matilde von Wallenstein. La nobildonna, vedova e smodatamente ricca grazie a una diabolica fortuna nei giochi d’azzardo, concede al giovane una possibilità: recuperare d’un colpo, in un’ultima partita, i denari, gli ori, i palazzi, le barche persi dal padre. La posta in gioco è però altissima, perché ciò su cui il giovane Sacredo deve puntare è la sua vita stessa. Se perde, infatti, diverrà anch’egli uno dei beni acquisiti dalla contessa, che ne “prenderà possesso”. Sacredo accetta la sfida, ma finisce sconfitto. Fuggirà, per sottrarsi al destino che tragicamente incombe, incalzato da un inverno interminabile, scaldato a tratti da amori che lo affiancano senza accompagnarlo, cercando nell’avventura il contrappunto alla solitudine. Una fuga che diviene anch’essa una partita senza fine contro il destino e contro la morte, che di ogni destino è l’ultima padrona.

Stabat mater di Tiziano Scarpa
È notte, l’orfanotrofio è immerso nel sonno. Tutte le ragazze dormono, tranne una. Si chiama Cecilia, ha sedici anni. Di giorno suona il violino in chiesa, dietro la fitta grata che impedisce ai fedeli di vedere il volto delle giovani musiciste. Di notte si sente perduta nel buio fondale della solitudine più assoluta. Ogni notte Cecilia si alza di nascosto e raggiunge il suo posto segreto: scrive alla persona più intima e più lontana, la madre che l’ha abbandonata. «Ma sono lettere, queste? A me sembrano un abbraccio che si sporge alla finestra su un cortile vuoto, sono calci e pugni dati alla cieca, per aria, in solitudine». La musica per lei è un’abitudine come tante, un opaco ripetersi di note. Dall’alto del poggiolo sospeso in cui si trova relegata a suonare, pensa «Io non sono affatto sicura che la musica si innalzi, che si elevi. Io credo che la musica cada. Noi la versiamo sulle teste di chi viene ad ascoltarci». Così passa la vita all’Ospedale della Pietà di Venezia, dove le giovani orfane scoprono le sconfinate possibilità dell’arte eppure vivono rinchiuse, strette entro i limiti del decoro e della rigida suddivisione dei ruoli. Ma un giorno le cose cominciano a cambiare, prima impercettibilmente, poi con forza sempre piú incontenibile, quando arriva un nuovo compositore e insegnante di violino. È un giovane sacerdote, ha il naso grosso e i capelli colore del rame. Si chiama Antonio Vivaldi. Grazie al rapporto conflittuale con la sua musica, Cecilia troverà una sua strada nella vita, compiendo un gesto inaspettato di autonomia e insubordinazione.

Il ritorno di Casanova di Arthur Schnitzler
Giacomo Casanova, Cavaliere di Seingalt, giunto a cinquantatré anni, ormai stanco di avventure erotiche e di traffici politici, sente sempre più forte il bisogno di ritornare nella sua città, Venezia, da cui tanti anni prima era fuggito con la sua mirabolante evasione dai Piombi. Ma, proprio quando la meta è vicina, il destino gli fa incontrare la giovanissima Marcolina, non ancora ventenne eppure dotta studiosa di matematiche superiori e lucida illuminista. Questa donna, che lo guarda con una freddezza che Casanova mai prima aveva visto in uno sguardo femminile, lo costringe a gettarsi perdutamente in un intrigo rovinoso. E, proprio in quell’avventura, gli balena l’immagine di una felicità incomparabile, che vince di sorpresa la sua cinica sapienza: un’immagine che gli si mostra per negarsi poi subito e abbandonarlo, come un’ultima beffarda apparizione della vita. Una trama maliziosa, che potrebbe apparire di sfuggita in un capitolo delle Memorie di Casanova, si dilata qui in un feroce scontro fra Amore e Morte, che viene a porre un sigillo sinistro su questa tappa della carriera di un libertino, ormai segnata dall’angoscia della fine. 

Fra le calli di Venezia...

  • "Di là dal fiume e tra gli alberi" di Ernest Hemingway (35%)
  • "Anonimo Veneziano" di Giuseppe Berto (16%)
  • "L'isola dei morti" di Valerio Massimo Manfredi (14%)
  • "Morte a Venezia" di Thomas Mann (14%)
  • "Cortesie per gli ospiti" di Ian McEwan (11%)
  • "Stabat mater" di Tiziano Scarpa (11%)
  • "La partita" di Alberto Ongaro (0%)
  • "Il ritorno di Casanova" di Arthur Schnitzler (0%)
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