Nell’arco di undici anni, Aleksandar Hemon ha composto un’autobiografia in quindici stazioni che hanno la lucidità del saggio, la pienezza del romanzo di formazione e la tagliente intelligenza di una lingua che canta il nostro tempo come nessun’altra. «Ho smesso da un pezzo di anelare a una vita normale. Ora mi va bene qualunque vita che mi consenta di scegliere e agire». Ma per scelte e azioni che solcano universi una vita sola non basta. Ne occorre una per lo skyline notturno del centro di Chicago e una per la mappatura sgomenta di una Sarajevo mutilata dalla guerra. Una per il gioco degli scacchi contrari, dove lo scopo è perdere. Una per il piú assoluto dei dolori.
Aleksandar Hemon è nato a Sarajevo nel 1964 e dal 1992 vive negli Stati Uniti, dove è rimasto bloccato dallo scoppio della guerra in Bosnia poco tempo dopo il suo arrivo. Appena tre anni più tardi ha cominciato a scrivere in inglese, riscuotendo gli elogi della critica anche per la ricchezza del suo stile, al punto da aggiudicarsi nel 2004 la prestigiosa «genius grant» della MacArthur Foundation, ed è oggi unanimemente considerato uno tra gli autori più raffinati e interessanti in circolazione. Presso Einaudi ha pubblicato Spie di Dio nel 2000 (da cui è tratto il racconto Blind Josef Pronek & Dead Souls, uscito nella collana digitale dei Quanti nel 2013) e Nowhere Man nel 2004. Il progetto Lazarus (Einaudi 2010), risultato finalista al National Book Award 2008, vive, oltre che nel romanzo di Hemon, nelle fotografie di Velibor Bozovic che l’accompagnano, e in un sito internet(http://aleksandarhemon.com/lazarus) che ne è l’ideale rimando multimediale. Nel 2013, sempre per Einaudi, è uscito Il libro delle mie vite.