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LETTERATURA STATUNITENSE 1

JACK KEROUAC, ON THE ROAD (1951)

Dean e Sal si mettono in viaggio, animati da un’infinita ansia di vita e di esperienza, sulle interminabili highways dell’America e del Messico. Sulla strada ne registra le tappe, le rivelazioni, gli incontri, regalandoci una storia di grande autenticità artistica ed esistenziale. Romanzo dell’amicizia e della difficoltà dell’amore, della ricerca di sé, del desiderio di appartenenza e dell’impossibilità di rinunciare al desiderio e al bisogno di rivolta; narrazione dell’ansia di un andare senza fine che cancelli l’ombra della noi e quella più grande e oscura della morte. “Sulla strada” sembra dare corpo a tutti i grandi miti dell’America. Ma è anche romanzo della conoscenza dell’oscurità, del silenzio insuperabile, dell’impossibilità della comunicazione, del ritorno ossessivo a cui ogni partire sembra ricondurre.

Jack Kerouac, è considerato uno dei maggiori e più importanti scrittori americani, nonché “papà dei beatnik”, il suo stile ritmato e immediato, chiamato dallo stesso Kerouac “prosa spontanea”, che ha ispirato numerosi artisti e scrittori della Beat Generation. Le opere più conosciute sono I sotterranei, Sulla strada, considerata il manifesto della beat generation, I vagabondi del Dharma e Big Sur che narrano dei suoi viaggi attraverso gli Stati Uniti e delle brevi permanenze in qualche località. I suoi scritti, di fatto, riflettono la volontà di liberarsi dalle soffocanti convenzioni sociali del tempo e dare un senso alla sua esistenza, un senso da lui cercato nelle droghe (come la marijuana e la benzedrina), nell’alcol e nella religione, cattolica e bhuddista, oltre che nei suoi frenetici viaggi, alla ricerca di un luogo che gli desse stabilità interiore e riempisse quel vuoto creato dalla sopravvenuta mancanza del padre all’età di 14 anni. Kerouac e i suoi scritti hipster sono considerati precursori dello stile di vita della gioventù degli anni sessanta, quello degli Hippy, che scosse la società americana nelle sue certezze ed ispirò direttamente i movimenti pacifisti e l’antimilitarismo contro la guerra del Vietnam.

SAUL BELLOW, HERZOG (1964)

Solo nella grande vecchia casa di campagna, l’ebreo Moses Elkanah Herzog (alter ego dell’autore) scrive febbrilmente lettere su lettere agli amici, alla famiglia, persino a morti illustri: a tutti pone quesiti sull’esistenza. Personaggio quanto mai contradditorio, portavoce delle inquietudini intellettuali dell’americano dopo Kennedy, egli non ha la risposta al mistero della vita; spoglio di ogni romantica illusione, Herzog è un umiliato che va fiero della propria umiliazione, e nel disastro delle sua vita si sente tuttavia fiducioso.

Saul Bellow (1915-2005) compie i suoi studi a Chicago, laureandosi in antropologia e sociologia. Il suo primo romanzo, “L’uomo in bilico” (1944), venne accolto con grande favore dalla critica (fra i più entusiasti il grande Edmund Wilson), e ciò gli valse una borsa di studio che gli consentì di soggiornare due anni in Europa, dove poté dedicarsi a tempo pieno alla letteratura. Tornato in patria, alternò per molto tempo l’insegnamento universitario all’attività di scrittore, perseguita con successo sempre crescente, fino al massimo riconoscimento del Nobel, ottenuto nel 1976. Dopo L’uomo in bilico, diede alle stampe La vittima (1947), seguito da Le avventure di Augie March (1953), accolto con grande entusiasmo da critica e pubblico, e da La resa dei conti (1956). Il successo internazionale glielo assicurò Il re della pioggia (1959), poi confermato da Herzog (1964), Addio alla casa gialla (1968), Il pianeta di Mr. Sammler (1970), Il dono di Humboldt (1975).

STEPHEN KING, IT (1986)

In una ridente e sonnolenta cittadina americana, un gruppo di ragazzini, esplorando per gioco le fogne, risveglia da un sonno primordiale una creatura informe e mostruosa: It. E quando, molti anni dopo, It ricomincia a chiedere il suo tributo di sangue, gli stessi ragazzini, ormai adulti, abbandonano famiglia e lavoro per tornare a combatterla. E l’incubo ricomincia.

Stephen Edwin King (Portland, 21 settembre 1947) è uno dei più celebri autori di letteratura fantastica, in particolare horror. Scrittore notoriamente prolifico, nel corso della sua fortunata carriera, iniziata nel 1974 con “Carrie”, ha pubblicato oltre sessanta opere, fra romanzi e antologie di racconti, entrate regolarmente nella classifica dei bestseller, vendendo complessivamente più di 500 milioni di copie. Buona parte delle sue storie ha avuto trasposizioni cinematografiche o televisive, anche per mano di autori importanti quali Stanley Kubrick, John Carpenter, Brian De Palma e David Cronenberg.  

TONI MORRISON, AMATISSIMA (1987)

Un romanzo di grande intensità, in cui si narra la vita di Sethe, una giovane e indomabile donna di colore che, negli anni precedenti alla Guerra Civile, si ribella alla propria schiavitù e fugge al Nord, verso la libertà. La sua vicenda si intreccia con quella di altri personaggi in un racconto che, “si insinua nei meandri del tempo, lasciando scaturire ora qua ora là il non detto, scaglie di ricordi troppo penosi per essere contenuti, dolorosi frammenti di memoria”. Con questo libro Toni Morrison ha voluto rivolgere un invito ai bianchi e agli afroamericani: “Tornare a quella parte della propria storia che troppi hanno rimosso, dimenticato, lasciato inspiegato, ignorato”. La storia è tratta da un fatto realmente avvenuto: una madre che taglia la testa alla figlia per impedire che cada nelle mani degli schiavisti. Per questo romanzo Morrison ha vinto il Premio Pulitzer.

Toni Morrison è nata a Lorrain [Ohio] nel 1932. Si chiama in realtà Chloe Anthony, ma ha cambiato nome per evitare i ricorrenti errori di pronuncia. E’ stata attrice, ballerina. Ha scoperto e fatto pubblicare come redattrice della Random House le opere di maggior successo della recente letteratura afro- americana, da Toni Cade Bambara a Gayl Jones. Ha insegnato ‘scrittura creativa’ alla Rutgers University [New Jersey]. Insegna scienze umane alla Princeton University, e titolare di una cattedra all’Università di Albany. Nel 1993 ha avuto il nobel.
Tema centrale dei suoi romanzi è la perdita dell’identità dei neri, analizzata nei momenti della storia americana in cui il loro patrimonio culturale è stato particolarmente minacciato. Da segnalare lo spessore metaforico della sua scrittura.

PHILIP ROTH, PASTORALE AMERICANA (1997)

Seymour Levov è alto, biondo, atletico: al liceo lo chiamano «lo Svedese». Ebreo benestante e integrato, ciò che pare attenderlo negli anni Cinquanta è una vita di successi professionali e di gioie familiari.
Finché le contraddizioni del conflitto in Vietnam, esplose negli Stati Uniti, non coinvolgono anche lui, e nel modo piú devastante: attraverso l’adorata figlia Merry, decisa a «portare la guerra in casa». Letteralmente. Ma Pastorale americana non si esaurisce nell’allegoria politica; è un libro sulla vecchiaia, sulla memoria, sull’intollerabilità di certi ricordi.
Lo scrittore Nathan Zuckerman, fin dall’adolescenza affascinato dalla vincente solarità dello Svedese, sente la necessità di narrarne la caduta. E ciò che racconta è il rovesciamento della pastorale americana: un grottesco Giudizio Universale in cui i Levov, e i lettori, assistono al crollo dell’utopia dei giusti, al trionfo della rabbia cieca e innata dell’America.

Philip Roth è nato il 19 marzo 1933 a Newark, nel New Jersey. Ha studiato alla Bucknell University, prima di trasferirsi alla Chicago University per completare il corso di laurea in letteratura anglosassone. Si è quindi dedicato all’insegnamento. L’esordio narrativo è avvenuto con “Goodbye, Columbus”, sei racconti in cui Roth ha sfoderato da subito uno stile ironico, coltissimo, imbevuto delle suggestioni culturali a cui è andato sempre soggetto: la psicanalisi, il laicismo di matrice ebraica, la satira del contemporaneo. “Portnoy’s Complaint” (Il lamento di Portnoy), reputato il suo capolavoro, è al tempo stesso una tragedia e una commedia personale, recitata da Alexander Portnoy, un paziente ossessivamente monologante sul lettino, preda di una nevrosi inestricabile a sfondo maniacalmente sessuale. Imprevisto e roboantemente epico, l’ultimo sviluppo della narrativa di Roth: con “Pastorale americana”, un romanzo definito epocale e con “Ho sposato un comunista”, Roth passa dall’allegoria alla cronaca letteraria della storia dell’intera nazione americana. Roth si è aggiudicato una serie impressionante di National Book Award for Fiction, mentre nel ’98 gli è stato assegnato il Pulitzer per Pastorale americana.

DON DeLILLO, UNDERWORLD (1999)

Il 3 ottobre 1951 al Polo Grounds di New York si gioca una leggendaria partita di baseball tra i Giants e i Dodgers. Della palla con cui viene battuto l’altrettanto leggendario fuoricampo che assicura la vittoria del campionato ai Giants si impadronisce un ragazzino nero di Harlem Cotter, Martin. La ritroveremo cinquant’anni dopo in possesso di Nick Shay Costanza, un dirigente dell’industria dello smaltimento dei rifiuti che nel 1951 era a sua volta ragazzino un passo più in là, nel Bronx. Nel romanzo di De Lillo i passaggi di mano della mitica palla servono da pretesto per la costruzione di un gigantesco quadro dell’America dalla guerra fredda fino alla crisi di Cuba e al crollo dell’Unione Sovietica.

DeLillo (1936) Nato e cresciuto nel Bronx, frequenta scuole cattoliche fino agli studi universitari. Inizia a lavorare come pubblicitario e a interessarsi di arte e musica, particolarmente al jazz, muovendo i suoi primi passi nella scrittura. Alla fine degli anni Settanta intraprende un lungo viaggio formativo in Medio Oriente e in India, successivamente si trasferisce in Grecia dove vive per tre anni e scrive il suo ottavo romanzo,che avrà un buon successo come “thriller psicologico”.
Torna quindi negli Stati Uniti e qui scrive il suo primo capolavoro, “White Noise” con il quale vincerà il National Book Award nel 1985.
E’ considerato uno dei maggiori scrittori americani di questo passaggio di millennio: figura centrale del cosiddetto postmodernismo insieme a Thomas Pynchon e Paul Auster.

CORMAC McCARTHY, LA STRADA (2006)

Un uomo e un bambino, padre e figlio, senza nome, spingono un carrello, pieno del poco che è rimasto, lungo una strada americana. La fine del viaggio è invisibile. Circa dieci anni prima il mondo è stato distrutto da un’apocalisse nucleare che lo ha trasformato in un luogo buio, freddo, senza vita, abitato da bande di disperati e predoni. Non c’è storia e non c’è futuro. Mentre i due cercano invano più calore spostandosi verso sud, il padre racconta la propria vita al figlio. Ricorda la moglie (che decise di suicidarsi piuttosto che cadere vittima degli orrori successivi all’olocausto nucleare) e la nascita del bambino, avvenuta proprio durante la guerra. Tutti i loro averi sono nel carrello, il cibo è poco e devono periodicamente avventurarsi tra le macerie a cercare qualcosa da mangiare. Visitano la casa d’infanzia del padre ed esplorano un supermarket abbandonato in cui il figlio beve per la prima volta un lattina di cola. Quando incrociano una carovana di predoni l’uomo è costretto a ucciderne uno che aveva attentato alla vita del bambino. Dopo molte tribolazioni arrivano al mare; ma è ormai una distesa d’acqua grigia, senza neppure l’odore salmastro, e la temperatura non è affatto più mite. Raccolgono qualche oggetto da una nave abbandonata e continuano il viaggio verso sud, verso una salvezza possibile…

Cormac McCarthy, nato nel Rhode Island nel 1933, è cresciuto a Knoxville, Tennessee, dove ha frequentato l’università ed è poi tornato a più riprese nel corso della vita. Attualmente vive a El Paso, in Texas. Nel catalogo Einaudi sono disponibili Il guardiano del frutteto, Figlio di Dio, Il buio fuori, Meridiano di sangue, la trilogia della frontiera, costituita da Cavalli selvaggi, Oltre il confine e Città della pianura, Non è un paese per vecchi, portato sugli schermi cinematografici da Joel e Ethan Coen, La strada, vincitore del Premio Pulitzer 2007, Sunset Limited e Suttree, pubblicata nel 1979 dopo una gestazione di oltre vent’anni e tuttora giudicata la sua opera più personale e più ambiziosa.

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9 thoughts on “Scegli il libro di maggio

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