Letteratura e Cinema. Chiuse le votazioni per la discussione di marzo 2016

Cosa succede quando il cinema incontra la letteratura? Quando registi di fama mondiale interpretano un testo, modificandolo e diversificandolo dall’originale? Quante volte abbiamo pronunciato la frase “Ma il libro è più bello” (anche se poi non sempre è vero)?
Vi proponiamo un primo affascinante percorso tra questi mondi spesso contigui; un legame in alcuni casi indissolubile che ha visto tradotti sul maxischermo indimenticabili capolavori. Ne parleremo martedì 29 marzo, presso Palazzo della Penna, con Luigi Cimmino, professore di Filosofia Teoretica del Dipartimento di Filosofia dell’Università di Perugia.

Cinema e Letteratura

  • "Blade Runner" di Ridley Scott (tratto da "Ma gli androidi sognano pecore elettriche?" di Philip K. Dick) (41%)
  • "Morte a Venezia" di Luchino Visconti (tratto dall'omonimo romanzo di Thomas Mann) (28%)
  • "Così bella, così dolce" di Robert Bresson (tratto da "La mite" di Fëdor Dostoevskij) (14%)
  • "Eyes wide shut" di Stanley Kubrick (tratto da "Doppio sogno" di Arthur Schnitzler) (9%)
  • "Il Processo" di Orson Welles (tratto dall'omonimo romanzo di Franz Kafka) (9%)
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Blade Runner
di Ridley Scott (tratto da Ma gli androidi sognano pecore elettriche? di Philip K. Dick)
Nel 1992 la Guerra Mondiale ha ucciso milioni di persone e condannato all’estinzione intere specie, costringendo l’umanità a colonizzare lo spazio. Chi è rimasto sogna di possedere un animale vivente, e le compagnie producono copie incredibilmente realistiche: gatti, cavalli, pecore… Anche l’uomo è stato duplicato. I replicanti sono simulacri perfetti e indistinguibili, e per questo motivo sono banditi dalla Terra. Ma a volte decidono di confondersi tra i loro simili biologici e di far perdere le proprie tracce. A San Francisco vive un uomo che ha l’incarico di ritirare gli androidi che violano la legge, ma i dubbi intralciano spesso il suo crudele mestiere, spingendolo a chiedersi cosa sia davvero un essere umano. Tragico e grottesco assieme, il romanzo di Philip Dick racconta il panorama desolato della San Francisco del futuro e il desiderio di amore e redenzione che alberga nei più umili, trasformando il genere fantascientifico in un noir cupo e metafisico. Un’opera che ha influenzato la visione della metropoli futura e ha anticipato i dilemmi della bioetica contemporanea.

Eyes wide shut
di Stanley Kubrick (tratto da Doppio sogno di Arthur Schnitzler)
Un ballo in maschera, due misteriose figure in domino rosso, uno straniero insolente, qualche parola incomprensibile e allusiva: queste apparizioni gettano, una sera, «un’ombra di avventura, di libertà e di pericolo» nella vita di un medico e di sua moglie, giovani, belli e chiusi in un’ovattata felicità domestica. Da quel momento essi entrano, senza saperlo, in un intreccio speculare di peripezie notturne tanto inverosimili da sembrare oniriche e di sogni tanto invadenti da sembrare fatti reali: e, per tutti e due, i desideri segreti occuperanno la scena, per una notte, con una violenza e una fascinazione tali che li trascineranno inermi con sé, tra la voluttà e l’angoscia. Come in un film di von Stroheim, dalla Vienna borghese e tranquilla emergono inquietanti personaggi, le maschere dilagano, si aprono porte segrete, si svelano esseri equivoci, incombono giudici oscuri e feroci. Alla fine, un fascio di fredda luce clinica illuminerà il corpo bianco ed esanime di una sconosciuta, e in essa il protagonista riconoscerà «il cadavere pallido della notte passata, destinato irrevocabilmente alla decomposizione». Non senza, però, aver anche irrevocabilmente mutato la vita del giovane medico e della sua compagna. Insieme al Ritorno di Casanova e alla Signorina Else, il Doppio sogno (1926), racconto chiaroveggente e immerso in un incanto surreale, è una delle riuscite supreme di Schnitzler, ormai sempre più spesso riconosciuto, in questi ultimi anni, come uno dei grandi narratori psicologici della letteratura moderna, per il sorprendente spessore e la temibile lucidità delle sue storie, che sembrano aver dato fin dall’inizio per sottintese le scoperte della psicoanalisi.

Il Processo
di Orson Welles (tratto dall’omonimo romanzo di Franz Kafka)
La mattina del suo trentesimo compleanno, l’impiegato di banca Josef K. viene arrestato e messo sotto processo. Non si conosce né l’accusa né chi lo abbia fatto arrestare. Pensando a uno spiacevole ma risolvibile malinteso, K. cerca di affrontare la vicenda con razionalità, come è abituato a fare. Ben presto, però, scoprirà che la macchina processuale si muove per vie completamente irrazionali e si trova a fronteggiare un muro di gomma. A volte sembra che tutto il congegno sia per sgretolarsi e cadere in pezzi, come fosse fatto di carta, e che K. sia a un passo dal venire fuori dall’incubo in cui è stato piombato. Ma non è che un’illusione. Anche l’avvocato ingaggiato in sua difesa sembra muoversi con la stessa opacità e contraddittorietà del tribunale. Così, dopo aver licenziato l’avvocato, K. viene condannato e giustiziato.

Morte a Venezia
di Luchino Visconti (tratto dall’omonimo romanzo di Thomas Mann)
Gustav von Aschenbach cinquantenne scrittore di Mo­naco, raggiunte ormai fama e rispettabilità, sente im­provvisamente una strana inquietudine e il desiderio di viaggiare. Parte per Venezia dove alloggia all’Hotel des Bains al Lido, frequentato dall’alta società internazio­nale. Qui incontra un bellissimo adolescente polacco dai capelli biondi e dagli occhi grigio-crepuscolo verso il quale prova un’irresistibile e morbosa passione. Tra Aschenbach e il giovane Tadzio nasce un rapporto fat­to di sguardi e gesti, mai di parole, alimentato nell’ani­mo dello scrittore da reminiscenze classiche. Segue Tad­zio per le calli e i canali veneziani, cerca di apparire più giovane tingendo i capelli e utilizzando cosmetici. In­tanto a Venezia, in un’atmosfera disfatta e decadente, si manifestano i primi casi di colera, che le autorità tenta­no di nascondere. Aschenbach se ne accorge, ma non av­verte la famiglia polacca nel timore che Tadzio parta. Il giorno in cui la famiglia lascia Venezia, Aschenbach, malato, muore sulla spiaggia con negli occhi l’ultima immagine di Tadzio che gli appare come Ermete psicagogo (colui che guida l’animo nel regno dei morti).

Così bella, così dolce
di Robert Bresson (tratto da La mite di Fëdor Dostoevskij)
L’amore e l’impossibilità di rivelare i propri sentimenti, il bene e il male, l’orgoglio, l’egoismo, il coraggio e l’umiltà… I due brevi racconti contenuti in questo volume rappresentano non solo uno straordinario esempio di introspezione psicologica, ma anche una radicale esposizione degli aspetti più profondi ed essenziali della vita stessa. Ne La mite, apparso per la prima volta nel 1876 e giustamente considerato uno dei suoi capolavori, Dostoevskij tratta in modo completamente nuovo il tema del suicidio, facendo narrare una dolorosa vicenda familiare da un marito meschino e grossolano che tuttavia, a poco a poco, riesce a riconoscere le sue colpe nei motivi che hanno spinto la giovane moglie a togliersi la vita. Una gemma di immutato splendore da uno dei massimi scrittori della letteratura di tutti i tempi.

 

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