Il giorno della civetta, Leonardo Sciascia

Il giorno della civetta fu terminato da Sciascia nel 1960 e pubblicato per la prima volta nel 1961 dalla casa editrice Einaudi.
Il racconto trae lo spunto dall’omicidio di Accursio Miraglia, un sindacalista comunista, avvenuto a Sciacca nel gennaio del 1947 a opera della mafia.
Sciascia aveva già iniziato a scrivere di mafia nel 1957 recensendo il libro di Renato Candida, comandante dei carabinieri ad Agrigento, al quale si è ispirato per tratteggiare il personaggio del Capitano Bellodi, protagonista del romanzo.
La prima edizione venne anticipata sulla Rivista “Mondo Nuovo” del 9 ottobre 1960 e in seguito comparve con una “Nota” che dichiarava la verità sottintesa alla finzione del romanzo scritta in una libertà non piena ma significativa nei confronti di una letteratura che fino a quel momento aveva fornito della mafia una rappresentazione apologetica e di una società che, negli organi politici e d’informazione, ne negava addirittura l’esistenza.

In una cittadina della Sicilia giunge il capitano dei carabinieri Bellodi, originario di Parma, per indagare sull’omicidio di Salvatore Colasberna: costui era socio di un’attiva società edilizia e, si scoprirà più tardi, aveva rifiutato la protezione della mafia. Le indagini del continentale Bellodi, come viene chiamato dai locali, intralciate dall’omertà e dalla diffidenza degli abitanti, seguono la pista della convivenza tra mafia e potere politico. Bellodi è un uomo coraggioso, che ha scelto di servire lo stato, di mangiare il pane del governo animato da profonde convinzioni democratiche e da un alto senso della giustizia, in base ai quali non si devono mai accettare compromessi o connivenze.
L’indagine del capitano è seguita con fastidio e preoccupazione a Roma, nei palazzi del potere. La catena degli omicidi, intanto si allunga: muore un potatore, Nicolosi, e viene ucciso un confidente della polizia. Quest’ultimo, però, fa a tempo a denunciare a Bellodi alcuni mafiosi. Con pazienza il capitano riesce a ricostruire la meccanica del delitto, a scoprire esecutori e mandanti, ad arrivare fino al capomafia, don Mariano il padrino, da tutti rispettato come persona pulita e prudente. Il processo è imminente, il potere politico non sembra poter più soffocare i risultati dell’indagine. Bellodi commette però, per ingenuità, un errore: prende un breve congedo per tornare a Parma, dalla famiglia. Qui apprende dai giornali che la sua indagine è stata smontata da un alibi di ferro tardivamente esibito dal principale indiziato. Tutto pare sprofondare di nuovo nell’omertà e nella paura, ma Bellodi decide di ritornare nell’isola, per far conoscere la verità.

Leonardo Sciàscia (1921 – 1989). Dall’esperienza d’insegnante nelle scuole elementari del suo paese trasse ispirazione per un fortunato racconto-inchiesta, Le parrocchie di Regalpetra (1956), in cui coglieva acutamente le radici storico-sociali dell’arretratezza siciliana. Successivamente, senza trascurare una vena saggistico-libellista, di dichiarata ascendenza illuministica (Pirandello e la Sicilia, 1961; La corda pazza, 1970; Nero su nero, 1979; Cruciverba, 1983; ecc.), ottenne un crescente successo di pubblico con una serie di romanzi brevi di ambientazione prevalentemente siciliana (Il giorno della civetta, 1961; A ciascuno il suo, 1966; Il contesto, 1971; Todo modo, 1974; Una storia semplice, 1989), in cui la denuncia del sistema di connivenze di cui godeva la mafia coinvolgeva la politica nazionale e alludeva alla diffusione incontenibile della mentalità mafiosa. Investì poi la sua penetrante immaginazione inquisitoria nella ricerca storiografica (Atti relativi alla morte di Raymond Roussel, 1971; La scomparsa di Majorana, 1975; I pugnalatori, 1976; Dalle parti degli infedeli, 1979) fino a misurarsi con la tragica attualità del terrorismo (L’affaire Moro, 1978), anche come relatore di minoranza nella commissione parlamentare d’inchiesta sull’assassinio di Moro e sul terrorismo in Italia (era stato eletto alla Camera dei deputati nel 1979 nelle liste del Partito radicale). 

 

 

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